È così. Arrivi a cinquant’anni, ti credi esperto del mondo e de li vizi umani e del valore, e invece. Chissà quanti tizi non ho mai sentito nominare ma, ciascuno nel suo, hanno contribuito al progresso umano ben più di quanto potrò mai fare io portando in giro per il mondo la mia massa grassa.
Von Foerster, per esempio. (– Cioè, NON SAPEVI CHI ERA VON FOERSTER?! Ma co… – SCOIATTOLO!) Von Foerster, dicevo. Bella questa cosa delle macchine banali e non banali.
Una macchina è banale, dice il Von, se è caratterizzata da una relazione uno-a-uno tra input e output. Se, dato uno stimolo A, produce sempre la risposta B. Se fa sempre la stessa cosa, insomma. Schiaccio il pulsante, e vien fuori l’aria calda. Giro la chiave, e si accende il motore. Metto la panna nella carbonara, scoppia un flame su internet. Posto un gattyno, prendo trenta Like. È un sistema deterministico, e quindi prevedibile.
Ma ci sono anche le macchine non banali: tra input e output la relazione è diversa. Dato lo stimolo A, non sempre rispondono B. Il fatto è che la risposta che viene data è frutto delle risposte date in precedenza. Anche queste macchine sono deterministiche: è una serie di stati interni a causarne il comportamento. Ma dato che io posso vedere solo l’input e l’output, posso ipotizzare gli stati interni solo da quanto osservo dall’esterno. E così le macchine non banali sono imprevedibili. E poco utili nella pratica, ovvio. Sono anni che schiaccio il pulsante e vien fuori aria calda, ma può essere che stamattina io schiacci il pulsante e venga fuori aria fredda, o non venga fuori niente: a quel punto è improbabile che mi limiti a constatare Toh!, ma guarda che caso strano, il mio phon si è trasformato in una macchina non banale. Dirò che si è rotto, e lo aggiusterò o lo sostituirò.
In pratica: se una macchina banale comincia a funzionare in modo non banale, corriamo subito ai ripari per banalizzarla.
Tutto il rapporto uomo-natura è in fondo improntato a un costante tentativo di banalizzazione: la natura di suo non è per niente prevedibile, anzi è piuttosto caotica; ma l’uomo è capace di estrapolarne delle regolarità, ovvero di banalizzarla, traendone vantaggio (non è che occorra conoscere tutti gli stati interni della macchina biologica per inventare l’agricoltura e l’allevamento).
Ma se c’è un campo in cui, dice il Von Foerster, quest’opera di banalizzazione è nociva, quello è il campo dell’istruzione: la scuola è un costrutto mirato a banalizzare quelle macchine non banali che sono i bambini, o in generale i ggiovani. La risposta di un bambino è sempre imprevedibile: la scuola opera perché alla domanda dell’insegnante il bambino fornisca la risposta corretta, ossia quella attesa, prevista e prevedibile. A stimolo A deve corrispondere risposta B, appunto.
I test di valutazione sono la macchina di banalizzazione perfetta: sottopongono domande di cui si conosce già la risposta a persone da cui si attende la risposta corretta. Più alto è il punteggio che ottieni in un test, e più ti sei banalizzato. Ossia, digiamolo, sei sotto controllo.
Ora basta, che devo andare a esercitarmi a fare un po’ di test per la preselezione del concOH WAIT!
Author: Leonardo
COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 07
Il mio, personalissimo WTF?! del giorno consiste nella scoperta del fatto che non è necessario che le scuole paritarie abbiano, propriamente, un dirigente scolastico. Un preside, per capirci. Proprio così. Innanzitutto si parla non di dirigente scolastico, ma di coordinatore didattico. E l’impressione è che la legislazione, nel susseguirsi di circolari e note esplicative dal 2000 in poi, si sia fatta sempre più nebulosa e imprecisa, fino a delineare una situazione in cui non solo non è assolutamente necessario che alla guida di una scuola paritaria vi sia un dirigente scolastico, ovvero qualcuno che abbia passato un concorso per dirigenti; ma non è nemmeno strettamente necessario che vi sia un insegnante munito di abilitazione! (E qui il mio WTF?! raggiunge proporzioni mastodontiche, oserei dire siffrediche). Le varie circolari in fondo si limitano a dire che il coordinatore didattico: a) nelle scuole secondarie inferiori e superiori, deve essere provvisto di laurea o di titolo equipollente (abilitazione all’insegnamento: non pervenuta); b) deve avere titoli culturali o professionali non inferiori a quelli previsti per il personale docente (ancora una volta, l’abilitazione non viene espressamente nominata; ma – si dirà – c’è un riferimento esplicito ai “titoli professionali” del docente, no? Vero, ma la vedi quella “o” ? Ah, la diabolicità di quella “o”…); c) deve essere munito di esperienza e competenza didattico-pedagogica adeguata (e qui cascherebbe l’asino; peccato che misuratori di competenza pedagogico-didattica non ne abbiano ancora inventati); d) e comunque abbiamo anche una nota ministeriale che recita testualmente: Precisato che l’espressione “dirigente scolastico”, propria delle scuole statali e conseguente al relativo ordinamento del personale, non determina alcun obbligo di equiparazione nelle scuole paritarie… E quindi. Per carità, una logica c’è: le scuole paritarie hanno come principale referente non tanto il preside, ma il cosiddetto gestore. Per intenderci: stiamo parlando dell’ente ecclesiastico, o della Fondazione, o della famiglia di privati che possiede e gestisce l’istituto. È il gestore ad essere il garante dell’identità culturale e del progetto educativo della scuola, ed è l’unico ad essere ultimamente responsabile della conduzione dell’istituzione scolastica nei confronti dell’Amministrazione e degli utenti. Tuttavia, nel momento in cui le condizioni per il riconoscimento della parità, che per carità non vi sto ad elencare, prevedono nei fatti che l’istituto paritario funzioni in un modo del tutto identico a quello della tradizionale scuola cosiddetta “pubblica” – dagli organi collegiali al Pof, dalle attività di programmazione all’autonomia scolastica, dai millemila progetti alla gestioni minuta e quotidiana delle questioni burocratico-amministrative, dalla gestione dei rapporti coi docenti e con le famiglie all’attenzione alla qualità della didattica -, non si vede come sia possibile per chi non abbia, non dico una qualifica dirigenziale, ma almeno un’abilitazione all’insegnamento ed un minimo – un minimo! – di esperienza scolastica star dietro a tutto questo senza essere un mero pupazzo di gomma. E insomma, boh.
Il grande rottamatore. È il modo in cui Paasilinna, in Piccoli suicidi fra amici, si riferisce a Dio. Unite i puntini e fate voi le battute su Renzi, il renzismo e il parallelo col berlusconismo dell’Unto del Signore, che qui non possiamo pensare a tutto noi.
E già che ci siamo (ma qui non so se è una cosa che ho imparato oggi o un ricordo che viene a galla tra le nebbie dell’Alzheimer incipiente, come si scherzava nei commenti qualche giorno fa, e comunque scusate l’ignoranza politica): la prima Leopolda, quella del 2010, porcoggiuda, ma da chi fu organizzata? Sì, da Renzi, certo, ma insieme a chi? Ricordo che c’era un altro. Civati? Possibile?!
In caso di mobbing, l’onere della prova ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro spetta al lavoratore. Uhm.
Per Gardner l’intelligenza è multipla, ed è un’abilità: più precisamente, un’abilità con cui risolvere un problema o con cui realizzare un prodotto che ha valore in uno o più contesti culturali. Quest’ultima sottolineatura è bellissima. Essere in grado di trovare l’acqua nel deserto del Kalahari è un’abilità che nel boscimano denota una spiccata intelligenza. Da noi, i 67.000 followers di Gasparri su Twitter o le 100 milioni e rotti di visualizzazioni del Pulcino Pio su YouTube, denotano un’intelligenza spiccata in Gasparri e nell’autore del Pulcino Pio. Stacce. Se non ti piace, è inutile che te la prenda con me, con Gasparri o col Pulcino Pio: se problema c’è, sta in quel che il nostro contesto culturale considera valore.
COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 06
I test d’intelligenza vengono tuttora considerati validi. Pensavo che da mo fossero stati ridotti a passatempi estivi o a rubrica di rotocalco o di Cioè, e invece. Per esempio, la quarta e ultima versione del WISC (WISC-IV, Wechsler Intelligence Scale for Children) è del 2003 (introdotta in Italia nel 2012), quella del WAIS (WAIS-IV, Wechsler Adult Intelligence Scale) è del 2008 (in Italia dal 2013). Certo, questi test sono una versione estremamente evoluta, e modificata, dei vecchi testi di Binet e Simon, che passarono attraverso Terman, che divennero scala Stanford-Binet, e che generarono i test Alpha e Beta dei reclutamenti per la prima guerra mondiale che al mercato mio padre comprò. Ma sono comunque roba di un secolo fa, almeno come concezione di fondo. Eppure sembra che l’idea di misurare l’intelligenza di un individuo attraverso domande, test e quiz sia ancora del tutto accettabile. La mia ignoranza si perplime, e constata.
Il burro fa male. E fin qui. Ma la cosa interessante è che ne abbiamo la conferma ufficiale grazie ad una ricerca commissionata dalla Danish Dairy Industry, che di burro ne produce qualche tonnellata. Insomma: la Danish Dairy, un mostro che riunisce 34 produttori, una potenza capace di sottoporre a trasformazione la bellezza di circa 4.9 billion kg milk for high-quality products (!!!), ha pensato bene di sovvenzionare uno studio approfondito sulle qualità del burro, ovviamente allo scopo di incrementarne l’appetibilità, e quindi le vendite: il risultato è stato uno studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition in cui si sostiene che even moderate levels of butter consumption could result in higher cholesterol. At the very least, the study showed that butter raises blood cholesterol levels more than alternatives such as olive oil. E insomma, oggi ho imparato che è possibile, che possono esistere ricercatori capaci di fare il proprio lavoro obiettivamente e onestamente, senza sottostare agli interessi di KI LI PAKA!!1!
È da un bel po’ che non vado alla Lidl, e così non ero a conoscenza di quel che descrive La Due Dodici nel suo stato di Feisbuc. Per chi non potesse leggerlo, il fatto è che alcune catene di supermercati (e in Italia la prima è stata proprio Lidl) si sono stancate di subire in silenzio il furto di decine di carrelli ogni mese, con un danno che pare aggirarsi tra gli 80 e i 120 euro a pezzo. Hanno così munito i carrelli di un particolare tipo di ganascia che scatta automaticamente quando il carrello si allontana oltre una certa distanza dall’uscita del supermercato, che so, al di là del limite del parcheggio. E così l’incauto avventore che, più che tentare di fottersi il carrello, è uso utilizzarlo per portarsi la spesa fino a casa, va incontro a inaspettati e repentini schianti contro il maniglione nel momento in cui si trova ad oltrepassare l’invisibile confine. La Due Dodici dice che starebbe tutto il giorno a guardarli. La capisco, e provvederò a recarmi al più presto alla Lidl più vicina per unirmi a questa forma di umarellismo spinto e un po’ bastardo.
Ieri notte sono andato a prendere il ragazzo a Orio al Serio, di ritorno da Valencia. Viaggiare di notte, in piena estate, sul tratto Piacenza – Brescia dell’A21 è quasi come guidare in mezzo a una nevicata sul Pordoi: insetti di tutte le fogge e dimensioni, vorticanti come fiocchi di neve, spuntano di continuo dal nulla intersecando i fasci dei fari e vengono a schiantarsi sul parabrezza, sul cofano, sugli specchietti, dappertutto, al ritmo di centinaia al minuto, o comunque di svariate decinaia. Moscerini, moschini, farfalline, cavallette, locuste, cammelli. Di tutto. Un continuo crepitare e scoppiettare. Ho la macchina conciata come se fossi passato sotto uno stormo di gabbiani dall’intestino debole. Che poi, tra la quantità incredibile di insetti e la fantasmagoria di puzze che si avvertono tra Cremona e Manerbio, credo che i piedi neri del bambino siano proprio l’ultimo dei problemi di Ghedi.
COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 05
Se stai pedalando in salita (e hai cinquant’anni, e non sei mica lì a fare del professionismo, ma sudi e ansimi perché in qualche modo fare esercizio ti fa bene e comunque andare in bici ti piace un sacco), a comandare sono le gambe, il ritmo cardiaco e l’ossigenazione, non l’orgoglio. Se gambe cuore e polmoni dicono Cazzo, fermati!, tu ti fermi, punto. Poi magari riprendi. Che gambe cuore e polmoni hanno sempre ragione, l’orgoglio produce solo un mucchio di telefonate al 118 che si sarebbero potute evitare facilmente.
Forse ho capito la differenza fra rating e ranking, in riferimento alle scuole e ai loro risultati (qualunque cosa siano i risultati di una scuola): il ranking dovrebbe essere una graduatoria discreta nella quale ciascuna scuola occupa un posto, laddove il rating mi pare essere l’inserimento della stessa scuola in una fascia di valutazione di ampiezza convenzionale. Non chiedetemi di più, non obiettate, non contestate, è una distinzione che funziona quando rispondo ai test ministeriali e tanto mi basta, almeno per ora.
Ho finalmente trovato un Cinque Stelle che mi sta piuttosto simpatico MA, COM’È COME NON È, ORA NON C’È PIÙ!
COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 04
Credevo che il Monte Bianco fosse stato scalato, ad essere generosi, nel milleottocentoequalcosa. E invece, grazie al doodle di Google di oggi, scopro che la prima scalata è del 1786. Non mi capacito. Mi immagino uomini dell’ancien regime, in calze di lana, sciarponi e parrucca, affrontare un’impresa che io oggi eviterei non fosse che per risparmiarmi la spesa dell’attrezzatura. Invece questi, hop hop, e vanno su vestiti da honnête homme di fine Settecento. Nel 1808 va su perfino la prima donna, in gonnellona plissettata e stivali fino alle ginocchia. Un altro pianeta.
Oggi è la storia a farla da padrona. Grazie al ClassiCult del Fraccalvieri, leggo la notizia della scoperta del monolite sommerso al largo della Sicilia, a metà strada da Pantelleria. Là dove oggi non c’è che acqua a perdita d’occhio, i Siciliani del Mesolitico drizzavano menhir da decine di tonnellate. Stiamo parlando di undicimila anni fa. Nemmeno erano nati i quadrisavoli degli spermatozoi del primo celta padano! I romani non esistevano nemmeno a livello di antenato di Enea, Troia era ben lungi dall’essere una città e già i siciliani modellavano pietroni megalitici. Sono undicimila anni che lavorano, ci credo che oggi sembrano prendersela un po’ comoda: è stanchezza. Unita alla saggezza e al disincanto di chi era al centro di una civiltà dalle caratteristiche omogenee sparsa per buona parte del Mediterraneo in un’epoca in cui il Mediterraneo, come lo conosciamo oggi, nemmeno esisteva.
Non tutti nella capitale nascono i fiori del male. Qualche testa di minchia senza pretese l’abbiamo anche noi in paese, e così stamattina scopro che a meno di due, trecento metri da casa mia un esemplare rappresentante della categoria ha passato la notte a dar fuoco alle automobili. Quattro, per la precisione. La Kia l’ho subito spostata in garage, penso che stanotte chiederò al figlio di dormire nella 106.
Il gioco 20 Questions, nelle sue versioni da tavolo e elettronica (per la verità, alle lunghe piuttosto noiosino e stucchevole), nasce paro paro da una strategia pedagogica (per la verità, alle lunghe piuttosto noiosina e stucchevole) inventata dal solito Bruner per stimolare negli alunni l’apprendimento per scoperta. Agli allievi veniva proposto un problema, e avevano a disposizione appunto venti domande per trovare la soluzione. La strategia giusta è partire dalle domande più generali per poi restringere progressivamente il campo, chevvelodicoaffà.
Il tutor è colui che affianca nell’apprendimento o nella scoperta il soggetto in apprendimento: lo sanno pure li cani, e quindi lo sapevo pur’io. Ma come si chiama il soggetto in apprendimento? Forza, potete farmi venti domande.
…
Eh eh.
Si chiama tutee.
Esiste un bug che si chiama white screen of death. In pratica, tu ci hai un blog, entri nell’amministrazione col tuo username e la tua bella password, e lì trovi il nulla. Cioè, io trovavo a lato la serie di opzioni e di funzioni, ma a cliccarci sopra non succedeva nulla: il resto dello schermo restava, appunto, bianco. Ma se hai una nipote geniale, esperta di informatica e al nono mese di gravidanza (così che non possa fuggire da nessuna parte, grazie Caterina :)), la sventurata può farti la diagnosi, il backup, l’aggiornamento all’ultima versione di Wp e restituirti il blog spolverato, lindo e funzionante come non mai, ed è subito, ancora e sempre, 2003!
COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 03
Esistono prodotti specifici per lavare le tende. Nella mia testa il lino era lino, il cotone cotone, la lana lana. Il colorato era colorato e il bianco bianco. E invece no: molto dipende anche dalla forma, non solo dalla sostanza. Il cotone a forma di lenzuolo richiede un prodotto diverso dal cotone a forma di tenda.
Le nostre percezioni sono influenzate dai nostri pregiudizi e dalle nostre aspettative: e fin qui. Ma non immaginavo fino a che punto lo siano. Bruner fa un esperimento. Prende un gruppo di ragazzi poveri, un gruppo di ragazzi ricchi ed un terzo gruppo di controllo, non importa se ricchi o poveri. A tutti e tre i gruppi viene dato un compito: devono paragonare le dimensioni dell’oggetto che viene loro messo in mano con quelle di un fascio di luce circolare proiettato su una scatola. Tramite una manopola possono variare le dimensioni del fascio di luce fino a farlo coincidere, a loro parere, con quelle dell’oggetto che hanno in mano. Ai primi due gruppi viene data in mano una moneta; al gruppo di controllo un disco di cartone, o di legno, non so. Risultato: il gruppo di controllo più o meno ci becca; il gruppo dei ragazzi ricchi tende a sovrastimare le dimensioni della moneta fino al 30% del diametro effettivo; i ragazzi poveri tendono anch’essi a sovrastimare il diametro della moneta, ma fino al 40% del diametro. Bruner conclude che essere ricchi influenza la percezione che si ha del denaro; essere poveri ancora di più; dei dischi di cartone non gliene frega nulla a nessuno. (Ed è interessante fra l’altro rilevare che quanto meno te ne frega di una cosa tanto più è esatta la percezione che ne hai; e viceversa, ovviamente.)
Le Assicurazioni Generali stanno sperimentando una nuova strategia di marketing. Mi hanno mandato una lettera commerciale nella quale mi invitano a sottoscrivere uno dei tre prodotti assicurativi elencati per poter partecipare all’estrazione di una Smart. L’assicurazione a premi ancora non l’avevo vista.
Andare al funerale di un bambino di dodici anni insegna sempre parecchio. Ma non ne voglio parlare, qui. Non mi pare il caso. Semmai un’altra volta, a tu per tu, davanti a una birra. O a qualcosa di più forte, che è meglio. Okay? Okay, deal.
COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 02
I pompieri che stendono i panni in shorts sul balcone, qui, davanti alle finestre della mia cucina, appartengono ad un’altra specie, non umana.
Il cantante dei Joy Division s’è ammazzato prima dell’uscita del loro secondo e ultimo disco. Sì, è una cosa del 1980, e io la scopro ora, e allora? Eh, oh.
È inutile che Caprotti abbia fatto mettere un gabinetto in ogni negozio Esselunga. Qualcuno riesce comunque a vomitare a dieci metri scarsi di distanza dalle porte del cesso, proprio davanti ai due portelli automatici per l’ingresso dei clienti.
C’è questo articolo, no?, il 50 della Legge 35 del 4 aprile 2012 (che converte in legge il DL 5 del 2012), che prevede la costituzione di reti territoriali tra istituzioni scolastiche, occhei? Bene. L’idea è bellissima: più scuole si mettono assieme e si uniscono per gestire in maniera ottimale le proprie risorse, umane, strumentali e finanziarie. Ne deriva la possibilità di definire un organico di rete: i docenti, invece di essere assegnati ad un unico istituto, sono assegnati a tutti gli istituti che compongono la rete, in funzione dei progetti ai quali partecipano e che vengono condivisi fra le scuole, soprattutto per le questioni legate all’integrazione scolastica ed all’inclusione. Figata!, bene. Ma quel cretino d’un articolo alla fine dice: tutto ciò, nei limiti previsti dall’art. 64 del DL 112/25 giugno 2008, convertito, con modificazioni, dalla L 133/6 agosto 2008, e successive modificazioni. Tradotto: nei limiti fissati dalla Riforma Gelmini, che ha come ritornello la “riduzione complessiva degli organici del tot %”. Ma vaffa, va’.
Un americano può chiederti l’amicizia su Feisbuc perché gli è piaciuto un casino un filmato in cui un tizio suona Comfortably Numb su un iPhone, e visto che ‘sto tizio si chiama Leonardo Muccari lui pensa bene di chiedere l’amicizia a tutti quelli che hanno un nome simile per cercare il tizio e fargli tanti tanti complimenti. Occheione.
COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 01
(Mi sa che ne faccio una rubrica quotidiana. Che è bello, a mezzo secolo, scoprire che ogni giorno ne impari una nuova. E quindi)
COSE CHE HO IMPARATO OGGI
Vygotskij appartiene a quella serie di genî che, ‘tacci loro, crepano troppo presto (38 anni, ma dai!). La sua teoria della zona dello sviluppo prossimale è una delle cose allo stesso tempo più semplici e rivoluzionarie che la storia della pedagogia abbia mai affermato.
Dicheno che a non far dire le parolacce agli studenti, e a sorvegliare il loro linguaggio, e a invitarli ad usare espressioni formalmente corrette, il loro rendimento migliora. Dovrò cambiare completamente metodo e approccio, cazz… ehm, mannaggia.
Sono troppo grezzo e ignorante per apprezzare alcune cosette. Per dire, le Kantaten di Bach mi paiono tutte uguali e in fondo in fondo madò che rottura di palle.
La vita in fondo è semplice. C’è chi per essere contento gli basta solo che qualcuno metta un like sotto la sua foto di un limone.
Prima di dire che un ragazzo che evidenzia certi problemi ha un Dsa, l’insegnante deve attivare un percorso di recupero sistematico e mirato ai bisogni di quel ragazzo; solo se il percorso fallisce e i problemi continuano a manifestarsi si invita la famiglia a contattare uno specialista. Insomma, pensa te, non si tira a indovinare e non è una questione di “sensibilità”.
C’è gente che non aveva idea di cosa significasse il marcire delle patate in casa. C’è gente che forse ne ha idea o forse non ne ha idea, ma che comunque è stata testimone di esperienze domestiche di decomposizione che neanche i netturbini di Calcutta. E te le racconta, il/la maledetto/a, con dovizia di particolari.
LA TERZA DOLORE E SPAVENTO
Alla riga 5, la mia bisnonna Elisabetta, 33 anni.
Alla riga 6 sua figlia Maria, 16 anni.
Alla riga 7 suo figlio. Mio nonno, Vito. Tre anni.
Rosario, il mio bisnonno, stava già a Brucculino e li aspettava.
Non fatico a appiccicare sui visi di chi sbarca a Pozzallo o a Lampedusa quelli di Elisabetta e di Maria, del piccolo Vito.
Anche se in Italia, nel 1903, non c’era guerra. E c’era, bene o male, uno Stato. Ma c’era anche miseria e fame. E allora si partiva. Perché se si ha fame, Cristo, si ha il diritto di partire.
Stipati in 1100 sulla Sicilian Prince, tutti in terza, ché la prima tiene posto solo per venticinque ricchi. Quindici giorni di traversata. Chissà che paura, du fimmine e chidd’avutru, nicareddu nicareddu.
Paura o no, si andava. Si aveva da andare. Dal 1875 al 1913, quasi quattordici milioni. Su trentatrè.
Che strana gente. Che strana specie di gente, ad affrontare l’oceano per una speranza di bene, per il sogno di un di più. Che strana specie, poi, a fare presto ad abituarsi al comodo, e a dimenticare.
Che strana specie che è, la specie umana.
100 ANNI
(100 anni dalla Grande Guerra. Mio nonno, ragazzo del ‘99, combattè una piccola parte della battaglia del solstizio, nel giugno del ‘18. Fu ferito e rimase mutilato e invalido tutta la vita. In qualche modo quell’episodio segnò tutta la sua esistenza e indirettamente quella di tutta la sua famiglia, fino a me, fino a noi. Questo è il suo racconto. Ciao nonno, e grazie.)
LA 17a BATTERIA
ALL’AZIONE NEL GIUGNO 1918
Comandata dal capitano Arizio, tre medaglie di argento, tre di bronzo, una d’oro.
Dal gennaio del ’18, reduce dal monte Tomba ove il suo capitano si era guadagnata la massima onorificenza, stava piazzata sul monte Costone. Suo obiettivo principale era la val Cesilla, tirava pure sul Pertica e l’Asolone situati a destra e a sinistra di detta valle.
Il 10 giugno la 17a batteria dovette fornire la pattuglia di segnalazione sul monte Asolone, dando il cambio a quella della 18a; era composta di sei soldati, due caporali – uno dei quali il sottoscritto – ed un sottotenente.
Il turno della pattuglia era di giorni 15, i soldati, uno per volta, montavano di vedetta al piccolo posto avanzato insieme alla vedetta di fanteria e dovevano riferire al caporale di servizio tutta l’attività svolta dal nemico in quel punto durante il periodo della loro vedetta.
I due caporali prestavano servizio a turno di 24 ore per uno, nostro compito, stando in servizio, era quello di dare il cambio alla nostra vedetta ogni due ore, ed il rimanente stare al telefono per comunicare al comando divisionale di artiglieria le eventuali novità e per ricevere da questo o dal comando di gruppo o da quello di batteria, eventuali fonogrammi. Il tenente a sua volta, oltre a vigilare sul buon andamento della pattuglia, doveva, mediante rapporto scritto giornaliero, riferire al comando divisionale di artiglieria tutta l’attività svolta dal nemico in quel settore durante le 24 ore.
Così la sera del 10 Giugno demmo il cambio alla pattuglia della 18abatteria, dei due caporali il primo turno fu assunto dal mio collega, per il vitto fummo agregati ad una compagnia del 239 e fummo alloggiati in una baracca insieme ai soldati di fanteria.
La baracca ove si dormiva era addossata ad un rialzo di terra e distava circa 60 metri dai nostri posti avanzati ed 80 circa dalla prima linea nemica.
Di fianco alla baracca, ad una diecina di metri, vi era una grandiosa galleria a due bocche capace di contenere più di due compagnie di soldati.
Fino al giorno 13 nulla di notevole, la sera del 13 poco dopo che avevo ripreso servizio arriva un fonogramma dal comando divisionale di artiglieria con cui si ordina alla pattuglia di comunicare, per telefono, le novità ogni due ore, la mattina del 14 verso le sei altro fonogramma, dallo stesso comando, in cui si ordina, comunicare le novità ogni ora, a mezzogiorno, sempre del 14, altro fonogramma con l’ordine di comunicare le novità ogni quarto d’ora!
Poco prima di ricevere il cambio dal mio collega, il tenente mi ordina di tenermi pronto per accompagnarlo in un giro alle nostre prime linee. Si partì verso le nove e dopo di esserci spinti fin quasi sul Pertica rientrammo a mezzora dopo mezzanotte.
Quasi sfinito, dopo più di trenta ore di attività, mi buttai sul mio giaciglio col fermo proposito di non rialzarmi se non per riprendere servizio alla sera successiva; e per godermi meglio il mio meritato riposo, mi tolsi le scarpe, le fasce e la giubba.
Però, avevo fatto i conti senza….. gli austriaci, poiché poco dopo si scatenò l’inferno!
Svegliato di soprassalto, fra bagliori sinistri e scoppi infernali, la baracca sottosopra, i soldati che fuggivano in galleria, nella confusione non trovavo più la roba mia!
Finalmente riuscì a raccapezzarla, fo una bracciata di tutto e a piedi nudi scappo anch’io in galleria.
Quivi dopo aver finito di vestirmi mi accorsi di avere dimenticato la maschera, corro di fuori per andarla a prendere ma la baracca non vi era più era sparita insieme alla mia maschera!
Ritorno in galleria, il bombardamento, da parte del nemico, continuava intenzo; le nostre artiglierie rispondevano rabbiosamente.
Verso le tre e mezzo, il bombardamento diminuisce d’intensità sulle nostre prime linee, il nemico adesso batte le nostre seconde e terze linee.
Alle quattro il mio collega va a dare il cambio alla nostra vedetta e non fa più ritorno né lui né la vedetta smontante.
Alle quattro e dieci il capitano, che comandava la compagnia di fanteria, manda un suo tenente ai piccoli posti per avere notizie, anche quest’ufficiale non fa più ritorno; verso le quattro e venti manda un soldato con la stessa missione, non ritorna nemmeno questi!
Alle 4 e 30 il nemico lancia i gas; io essendo sprovvisto di maschera, inzuppo un fazzoletto nel fango e lo porto al viso, fortunatamente vi è vento ed il gas dura pochi minuti.
Adesso il nemico torna a battere in prevalenza sulle nostre prime linee.
A venti minuti circa alle cinque il capitano si rivolge al mio tenente e gli dice:
Tenente, ha un uomo un po svelto da poter mandare ai piccoli posti per sapere cosa avviene?
– Ho un altro caporale, poiché uno è andato alle 4 e non ha fatto più ritorno.
– Ebbene mandi il suo caporale.
Il mio tenente rivolgendosi a me mi ordina di andare. Imbraccio il moschetto e parto, uscendo dalla galleria dovevo percorrere una trentina di metri senza alcun riparo e poi dovevo percorrere circa 60 metri di camminamento per arrivare ai piccoli posti.
Faccio di corsa i primi trenta metri ed imbocco il camminamento, arrivo sulla vetta e proprio dove il terreno declinava verso le linee nemiche ad una quindicina di metri dai nostri piccoli posti il camminamento era ostruito, per passare bisognava scoprirsi completamente, il che era molto azzardato poiché si era in presenza del nemico la cui linea non distava da quel punto più di 30 metri e le cui mitragliatrici si facevano sentire, senza contare il furioso bombardamento che infuriava.
Non mi sentj di affrontare quell’ostacolo e ritornai senza compiere la mia missione.
Riferj al capitano il quale si rese conto della difficoltà da me incontrata e rivolgendosi al mio tenente le dice: questo caporale lo accompagni all’altra bocca della galleria e che mi avverta subito se sente le nostre mitragliatrici dall’altra parte.
Stavamo per avviarci quando il mio tenente mi fa: Mucaria, eri quasi arrivato, potevi tentare! Al che io rispondo: signor tenente l’impresa non è facile, se vuole tento di nuovo!
Il capitano che aveva assistito al dialogo, in tono più di preghiera che di comando mi dice: va, e portami notizie!
Il bombardamento aumentava d’intensità, il nemico concentrava il suo fuoco tutto sulle prime linee.
Parto, poco dopo mi trovavo di nuovo dinanzi il medesimo ostacolo; ma questa volta non potevo più tornare indietro, dovevo superarlo a qualunque costo.
Mi fermo pochi secondi per prender fiato, una stretta di denti, un balzo, un capitombolo e mi trovo dall’altra parte del camminamento. Mi attasto la persona, nulla ero illeso, percorro quegli altri pochi metri, ed arrivo al piccolo posto; vi trovo il tenente ch’era stato inviato dal capitano e pochi soldati, espongo al tenente la mia missione, mi risponde di dire al capitano che lui ben poco aveva potuto muoversi, poiché le nostre trincee erano tutte rotte, le mitragliatrici buttate per aria, nemici non se ne vedevano.
Lo pregai di scrivermi queste notizie sopra un pezzo di carta, il che fece, e mi apprestai a ritornare.
Un altro momento critico a superare in senso inverso il solito maledetto ostacolo e quasi fuori di me raggiungo la galleria!
Il capitano stava sulle spine, poiché le notizie da me recate non erano per nulla rassicuranti, si sporge un po fuori della galleria per osservare verso le prime linee e rientri esclamando: la nostra artiglieria innalza sulle linee nemiche una cortina di fuoco formidabile!!
Pochi minuti dopo, verso le cinque, arriva di corsa un ufficiale gridando: i tedeschi! i tedeschi!!!
Per tutta la galleria si ripete il grido: fuori i tedeschi!! La compagnia si lancia fuori per prendere posizione, in quel momento avviene una cosa terribile! Avviene questo:
avendo le poche vedette superstiti lanciato i razzi gialli, per segnalare alla nostra artiglieria che il nemico varcava le nostre linee, l’artiglieria italiana accorciava il tiro, rovesciando su di noi quella tremenda cortina di fuoco, di cui parlava poco prima il capitano!
La compagnia fu quasi decimata! i superstiti ripararono di nuovo in galleria per risortirne immediatamente dopo, la nostra artiglieria continuava ad accorciare il tiro, i pochi rimasti prendemmo alla meglio posizione, di fianco alla galleria il mio tenente con la rivoltella in pugno gridava: a me i miei artiglieri!
Prendo posizione accanto al mio tenente, adesso eravamo in presenza degli austriaci i quali erano arrivati ad una trentina di metri da noi, ne prendo di mira uno, non posso dire se arrivai a tirare, ricordo solo di averlo preso di mira, poiché in quel preciso istante, mi sentj uno strappo alla guancia sinistra che mi fece stramazzare cosa era avvenuto? questo:
Una pallottola mi aveva attraversato la guancia sinistra facendomi sputare una dozzina di denti; mentre un’altra s’incaricava di spezzarmi una spalla, all’altezza dell’omero sinistro!
Mi rialzo subito facendo forza a me stesso per non perdere i sensi, un portaferiti mi porta in galleria, e sull’imboccatura incomincia a fasciarmi, in quel momento arriva un gruppo di soldati di corsa in galleria, mi mandano per terra e mi passano sopra, dal di fuori lanciano una bomba dentro la galleria e mi viene a cascare sui piedi, i soldati alla vista della bomba scappano verso l’interno, ho la presenza di spirito di aggrapparmi con la mano destra alla giubba di un soldato il quale nella corsa trascina anche me.
La bomba esplode, non fa danno a nessuno solo una scheggia mi taglia il pollice della mano destra.
La galleria si riempie di fumo, per non soffocare esco di fuori e vi trovo due lanciafiamme austriaci i quali appena mi vedono mi fanno cenno di uscir fuori dicendomi: medicazion, medicazion e m’indicavano in direzione della val Cesilla.
Capj che in fondo alla valle vi dovesse essere un posto di medicazione e m’incamminai verso quella direzione.
Tutti gli austriaci che incontravo mi ripetevano la stessa parola – medicazion – e m’indicavano sempre la val Cesilla.
Avevo percorso circa trecento metri quando mi trovai di fronte un’improvviso ostacolo consistente in quattro fili di filo spinato sovrapposti, di scavalcarli non avevo più la forza, poiché ero arrivato agli estremi, cercare il passaggio? avrei perduto del tempo prezioso e più del tempo del sangue poiché le mie ferite non potevo tamponarle. Decisi di passare carponi tra un filo e l’altro e così feci, però arrivato a metà mi si aggrappò la giubba al petto ed alle spalle e rimasi appeso!
Credetti di essere pervenuto alla fine! radunai le poche forze che mi erano rimaste e con la forza più della disperazione che d’altro do una strattonata, la giubba si strappa e così mi liberai ma non potei più muovermi.
Poco dopo passa un gruppo di prigionieri italiani fra i quali riconosco un mio compagno di pattuglia – certo Giuliani, barese – al quale gli fo cenni, dato che per via della ferita alla bocca non potevo più articolar parola, li per li, non mi riconosce, dopo guardandomi meglio esclama: Mucaria? gli fo cenno di sì, allora mi prende in spalla e mi conduce giù.
Poco dopo incontrammo due portaferiti austriaci, i quali stavano riparati dentro un fosso, questi mi presero, mi fasciarono alla meglio e mi portarono al posto di medicazione ove mi rifasciarono un’altra volta.
Verso le due arrivarono le barelle ci adagiarono sopra e portati da prigionieri italiani s’incomincia la discesa verso Grigno.
La strada era un via vai, di rincalzi austriaci che venivano su e di carovane di feriti e prigionieri che andavano in giù.
L’artiglieria italiana batteva fortemente la valle e quale fu la mia contentezza nel notare fra i colpi che arrivavano, dei shrapnel da 65!
Non poteva essere che lei! la 17a! che a mezzo dei suoi shrapnel m’inviava il suo saluto, dandomi buone notizie di sé, poiché quei shrapnel mi dicevano chiaramente, che la 17a batteria era ancora al suo posto! non solo; ma che non correva nessun pericolo, dato che si dedicava a contrastare, a distanza, la strada ai rincalzi nemici.
Rimpatriato dalla prigionia a mezzo di un mio compagno, certo Giovanni Perrone da Calatafimi, che il 15 giugno trovavasi in batteria seppi: che la mattina verso le 10 gli austriaci raggiunsero il Costone, arrivando fin quasi sulla batteria, il capitano fu ferito; ma rimase al suo posto, gli artiglieri dopo aver tirato con gli alzi a zero avevan dovuto difendere i pezzi coi moschetti e le bombe a mano e dal Costone – mercé il furioso contrattacco della nostra fanteria – in poche ore il nemico era stato ributtato sulle sue posizioni di partenza!
Mucaria Vito
Tornitore meccanico
Mutilato di guerra, ex artigliere della 17a batteria del 2o Reggto Artiglada Montagna
Via Agostino Bertani N 8 Trastevere Roma