F. spesso solleva il banco provocando rumore.
Guardo F., un ragazzino minuto dal viso timido, e gli chiedo cosa mai stesse facendo. Ma niente, prof, risponde, stavo cancellando e il banco sbatteva contro gli altri due banchi. I suoi due compagni confermano. In effetti, una trentina di ragazzi ammassati in quest’aula piuttosto angusta costringono a creare file da tre, e ogni movimento diventa una possibile fonte di disturbo e di rumori molesti. Ma da qui a dare una nota sul registro perché uno cancella, insomma…
Sfoglio il registro. La stessa mano, la stessa firma:
R., nonostante i ripetuti richiami, non ha un comportamento consono al luogo in cui si trova.
Consono. Luogo in cui si trova. Espressioni ellittiche, vaghe. Chissà cos’ha fatto R., chissà qual è stato il comportamento non consono. Vien quasi da chiedersi in quale luogo aulico e austero sia mai accaduto questo delitto indicibile e comunque palesemente non consono.
Passo in un’altra classe. È una quinta. Una mano diversa, una firma diversa.
S. continua a battere i piedi durante la lezione.
E gli dai una nota?! Non basta dirgli di piantarla? Che se glielo hai detto e lui ti ha mandato a cagare, la nota gliela dai perché ti ha mandato a cagare. Se la nota recita Tizio batteva i piedi vuol dire che tu hai ritenuto questo gesto già di per sé meritevole di una nota sul registro.
Quest’aula è esposta su tre lati. Il riscaldamento è insufficiente e abbiamo infiltrazioni d’acqua dal soffitto. Fa freddo, cazzo. Io ci passo dentro un’ora e me ne vado, i ragazzi ci restano cinque ore. Mentre sto seduto alla cattedra, faccio ballare una gamba quasi di continuo. Un po’ perché son nervoso, un po’ perché ho freddo. Ma io sono il prof, a me la nota non la danno mica.
Il fatto è che con quattro di queste note scatta la sospensione.
L’ho già detto tempo fa, lo ripeto: certe note sul registro, più che il comportamento degli studenti, rivelano l’animo e il cervello di chi le commina. Che poi, il minimo che ti possa capitare è che qualche classe di allievi più svegli ti inquadri per bene e cominci a fartela pagare. In modo quasi innocente ma costante, tirandoti scemo.
E così, nella classe successiva trovo una nota, stessa mano e stessa firma di quella del comportamento non consono. Recita:
Qualcuno non identificato interrompe continuamente la lezione con fischi e musica.
Me lo vedo.
Immagino il collega, intento a scrivere alla lavagna o a leggere dal testo, venire più volte interrotto da un fischio o da un iPod tirato per un secondo al massimo volume.
Riesco a vederlo mentre si gira o alza lo sguardo, una prima volta senza dire niente, la seconda dicendo E allora?!, la terza sclerando di brutto, ma senza risultato, il fischio si sente di nuovo, di nuovo la musica ma da una direzione diversa.
Me lo vedo paonazzo minacciare la nota e gridare con la classe.
Non è riuscito a identificare il disturbatore e allora ha provato a sparare nel mucchio, peraltro senza colpire nessuno.
Qualcuno non identificato. Ha dato la nota a qualcuno non identificato.
Un po’ come se uno dicesse Sento delle voci.
Ti vedo bene, collega.
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DARSI RAGIONE
Arriva a scuola in ritardo e senza zaino. Se l’è dimenticato, dice. Libri, quaderni, biro… nulla.
Strabuzzo gli occhi. Lui mi guarda, risentito del mio sbalordimento: Oh, prof, se me lo son dimenticato, me lo son dimenticato.
Non fa una grinza.
Alla fine dell’ora passo nella classe vicina.
Non sono ancora entrato che mi sento chiamare alle spalle: Prof!
Mi volto, è lui.
Mi porge i miei due registri: Tenga, prof. Vede com’è facile dimenticarsi la roba?
Sorride ironico, gira sui tacchi e se ne va.
L’importante è darsi ragione.
STRANE FORME DI CECITÀ
Poi ci sono le classi per le quali sei trasparente.
Faticano a rispondere al tuo saluto, fan mostra di non aver sentito le tue domande, se ti rivolgi a qualcuno di loro ti fissano con gli occhi opachi, quando suona la campanella e l’ora è terminata si alzano per l’intervallo e sfilano davanti alla cattedra senza degnarti di una parola, di un sorriso, di un buongiorno.
Son dei maleducati, dice il collega.
Mica vero, o almeno non è tutto lì. Non lo fanno solo con te, col professore. Lo fanno anche tra loro. Lo fanno con la bidella che entra a far firmare una circolare, lo fanno col nuovo compagno appena arrivato, lo fanno con la segretaria e con l’omino che al bar vende i panini.
Gli mancano i fondamentali dell’umano.
Alcuni miei studenti son poveri cristi, ciechi al viso degli altri: trattano il volto umano – l’oggetto più significativo, affascinante e bello di tutta la realtà – come fosse un albero, un muro o un palo della luce.
A suo modo è un handicap, e non dei più lievi: gli occhi di chi li incontra per loro sono muti, privi di senso e vuoti di valore.
Per niente al mondo vorrei essere nei panni dei loro morosi e delle loro morose.