STORIE DI PROVINCIA

L’amministrazione assegna alla parrocchia 4 mila metri quadrati di verde in comodato d’uso gratuito fino al 2025; è prevista la realizzazione di un campetto polivalente e di una struttura idonea per feste parrocchiali. I residenti della zona avviano una raccolta firme reclamando l’utilizzo pubblico dell’area e si organizzano in un Comitato “In difesa del verde pubblico”. L’amministrazione sospende la pratica.
I residenti appendono striscioni ai balconi e nell’area verde contesa; i vigili li fanno togliere. Organizzano proteste di fronte alla chiesa in coincidenza con gli orari delle messe; il parroco fa suonare le campane per coprire gli slogan dei manifestanti. Intanto la Circoscrizione si schiera col parroco, il Vescovo e il Sindaco si incontrano per trovare una soluzione pacifica, la popolazione si divide tra quelli che, secondo qualcuno, devono far cagare il cane e altri che “siamo tornati al medioevo”.
La parrocchia rinuncia “pro bono pacis” ma gli animi restano caldi e si annuncia la nascita di un contro-Comitato in difesa del progetto.
Questi i fatti. Per ora.
Guareschi ci avrebbe scritto un bellissimo racconto.

il Piacenza; Piacenza24 e articoli correlati

VENERDI’ 4 MARZO 2011

Caro diario,

oggi mi son svegliata tardi. Così sono dovuta uscire di corsa e non ho fatto in tempo.
Ho infilato tutto in una busta e l’ho buttata nella borsa.
Ci ho pensato per tutto il tragitto tra casa e ufficio, mentre ascoltavo il bip della timbratrice e il dindon dell’ascensore ai vari piani.
Poi sono entrata nella stanza, ho appeso la giacca e sono uscita portando la borsa con me.
Ho scelto il bagno degli uomini, che lì c’è una luce migliore, e ho chiuso a chiave la porta.
Ho appoggiato tutto  in ordine sul lavandino ascoltando il via vai dei colleghi nel corridoio.
Ho iniziato piano ignorando l’urgenza che sentivo dentro, quella che ti prende quando stai facendo una cosa che forse non dovresti fare.
Intanto tornava il ricordo di quella volta che ho aiutato un’amica a rollare una canna nei bagni della scuola; avevo 16 anni e mi sentivo un’idiota incastrata in quel cesso minuscolo con in mano stagnola e accendino.
Il brivido era lo stesso, la paura di sentir bussare alla porta, la strizza di essere beccate. Ugualmente idiota.
Ci ho messo il tempo che ci voleva, la giusta cura, e dopo aver passato il gloss sulle labbra ho riposto ogni cosa.
E ho sorriso allo specchio. Io. Alla mia età.
E sorridevo ancora in corridoio, dando il buongiorno ai colleghi.
Dando il buongiorno all’adolescente idiota che rimane viva dentro di me.
La prossima volta devo ricordarmi di portare la piastra per i capelli.

HO STATO ASSENTE

Davide parla solo in napoletano stretto. L’italiano per lui è una lingua straniera, ma lui è intelligente e volenteroso. In prima aveva un quattro scarso. Ora che è in quarta è arrivato al sette. L’inglese no, è una partita persa in partenza, ma l’italiano ormai lo sa.
Certo, nei momenti informali, un po’ ancora svisa.
Stamattina, per esempio, il collega di Diritto lo ha fermato e gli ha detto: Davide, all’ultima verifica eri assente, mercoledì appena entro in classe ti becchi un compito in classe di recupero, capito? E lui: Eh, prufessò, non ho venuto perché non ho stato bbuono.
Davide ha stato assente per colpa di Lavezzi, ché col Napoli eliminato dal Villareal non se l’è sentita di venire a scuola. Bastava un po’ di sciorta, prufessò, e invece ha andato male.
È proprio così, non è la prima volta che succede. Ormai sappiamo che la frequenza di Davide alle lezioni è legata a doppio filo al rendimento del Napoli. E meno male che quest’anno c’è Cavani.
Sette in Matematica, sette in Costruzioni, sette in Topografia, Davide non avrà problemi a diventare un buon geometra. Per ora litiga con l’italiano, e quando lo interrogano in Storia la prof si mostra comprensiva, tenendo separata la conoscenza della materia dal modo di esprimersi. Davide farà sempre a cazzotti con l’italiano, ma con un po’ di sciorta se la caverà egregiamente.

CONTESTAZIONI E CONTESTI

Quando faccio i corsi parto da lontano.
Mi piace dare un senso alle cose, collocarle in un contesto.
Così comincio con l’articolo 1, quello della Costituzione.
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Che se dicevano L’Italia è una Repubblica democratica aveva comunque il suo valore, invece han detto che è fondata sul lavoro.
E all’articolo 4 ti dicono che  La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto e che ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Io lo so che all’articolo 4 ci sono un sacco di commenti e me li aspetto.
Facciamo un po’ di retorica e andiamo avanti.
Articolo 32 La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e qui ci sta tutta la storia del peso sociale degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.
E finisco con l’articolo 41. Esatto. Quell’articolo lì, quello che han sentito al telegiornale, quello di cui si parla qualche volta sui giornali.
L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
E lì si capisce che la libertà ha dei limiti.
E no. Non è quello che avete letto sui giornali.
Per la prima volta questa sera uno di loro mi ha fermato lì, tra l’articolo 41 e il 2087 del Codice Civile (1942).
“Sì però questa roba è ora di cambiarla”.

PUNTA IL CIELO

Accucciata sul balcone guardavo il fumo della sigaretta svanire.
Nel seguirne la danza ho alzato lo sguardo seguendo il profilo della ringhiera sino al vaso e oltre il suo bordo.
E c’era una cosa che prima non c’era, una cosa che non c’è stata mai.
Una punta verde che arrogante spuntava dalla terra bagnata da mille giorni di pioggia e di gelo.
E accanto a lei altre, più piccole, ancora in parte nascoste.
Ho alzato la testa e c’era questo azzurro pulito nel cielo e la luce forte.
Ho controllato i vasi: non hanno seguito i miei disegni, non sono nell’ordine in cui li avevo messi a novembre. Han fatto di testa loro, seguendo percorsi che non erano miei.
E sono spuntati di nascosto, mentre fuori pioveva, quando nessuno li poteva vedere.
Ora non faccio che vederla, quella punta di tulipano.
Mi giro e quel dito verde smeraldo che punta il sole occupa tutto il mio sguardo.
E ogni volta sono un pochino più felice.

QUEL CHE RESTA

Sto leggendo l’Antologia di Spoon River. Piano, a piccole dosi.
E mi rimane appiccicata addosso la dolorosa sensazione che quando non ci sarò più di me resteranno solo il rancore, i rimpianti, l’invidia e il vuoto di tutte le mancanze di una vita.
Che ci son cose che già adesso non han rimedio.
Mentre io non desidero altro che pace.
O forse è solo sbagliato l’approccio.

ORA, MA ANCHE SEMPRE

Alla periferia di Bloemfontein si erge, imponente e cupo, un memoriale per le donne e i bambini morti nei campi di concentramento.

Non si parla di nazisti, ma di inglesi. E gli ospiti dei campi di concentramento non sono ebrei, ma i familiari dei soldati boeri in guerra contro l’impero britannico.

In tale memoriale sono seppelliti, accanto a quelli del presidente del Libero Stato di Orange durante la guerra, i resti della figlia di un sacerdote della Cornovaglia, di nome Emily Hobhouse, una delle prime attiviste, nel ventesimo secolo, contro la guerra.

Nel 1900 la Hobhause venne a conoscenza della situazione delle donne e dei bambini boeri e decise di recarsi in Sudafrica per aiutarle.

Creò un Fondo di assistenza per le donne e i bambini sudafricani, «per nutrire, vestire, ospitare e salvare donne e bambini – Boeri, inglesi e di altre nazionalità – ridotti in miseria in seguito a distruzione di proprietà, sfratto o altri incidenti dovuti (… ) alle operazioni militari». Poco dopo il suo arrivo a Città del Capo, nel dicembre 1900, ottenne (…)  il permesso di visitare i campi di concentramento. (…)  L’assoluta inadeguatezza della sistemazione e delle condizioni igieniche, con il sapone che veniva considerato dalle autorità militari «un articolo di lusso», la scandalizzò profondamente. (…) Visitò altri campi, a Norvalspont, Aliwal Nord, Springfontein, Kimberley, Orange River e Mafeking. In tutti trovò le stesse condizioni. E quando ritornò a Bloemfontein, queste erano peggiorate. Nel tentativo di porre fine alla politica dell’internamento, la Hobhause tornò in Inghilterra, ma il ministero della Guerra si rivelò più o meno indifferente. (…) Il governo accettò di nominare una commissione di donne, guidate da Millicent Fawcett, per verificare le affermazioni della Hobhause, che da tale commissione venne comunque (…) esclusa. Offesa, cercò di raggiungere il Sudafrica, ma non poté neppure arrivare al mare. Le restava ormai una sola arma: l’appello all’opinione pubblica. (…) La commissione Fawcett non era innocua come aveva temuto la Hobhause: stilò un rapporto durissimo e ottenne rapide migliorie nelle forniture mediche dei campi. (…) Anche Chamberlain era rimasto scandalizzato dalle rivelazioni della Hobhause e si affrettò a trasferire la responsabilità dei campi alle autorità civili. Le condizioni migliorarono con notevole rapidità: il tasso di mortalità passò dal 34% dell’ottobre 1901 al 7% nel febbraio 1902 e al 2% nel maggio dello stesso anno. (…) Le rivelazioni della Hobhause sui campi scatenarono nell’opinione pubblica una furibonda reazione di sdegno contro il governo. In Parlamento, i liberali colsero l’opportunità. Avevano trovato l’occasione ideale per rompere la coalizione fra Tory e seguaci di Chamberlain che aveva dominato la politica inglese per quasi due decenni.

Lo sdegno per il modo in cui era stata condotta la guerra anglo-boera e le rivelazioni della Hobhause sulle condizioni dei campi di concentramento spostarono decisamente a sinistra la politica inglese degli anni successivi al 1900, con conseguenze incalcolabili sulla storia inglese e sul futuro dell’Impero britannico.
Il voto alle donne in Inghilterra venne concesso soltanto nel 1923. Fu un successo certamente dovuto al movimento delle suffragette guidate da Millicent Fawcett, ma soprattutto al cataclisma della prima guerra mondiale. Quando la Hobhause si mobilitò, andò dall’altra parte del mondo e riuscì a infiammare l’opinione pubblica inglese, il contesto era quello di una società in cui la voce delle donne era sotto tutti gli aspetti trascurata e emarginata. Se ebbe successo ciò avvenne, credo, innanzitutto perché era una gran brava persona, con un senso altissimo della dignità propria e altrui. E questo viene prima di tutte le condizioni politiche e sociali: queste senza quello non producono alcun frutto, mentre il contrario può accadere.
Allora mi vien da pensare che forse il nostro problema non sta tanto nella difesa di categorie o generi, quanto nella capacità di creare singoli esseri umani capaci di uno sguardo su di sé e sugli altri simile a quello della Hobhause. Uno sguardo capace anche di giudicare, e di dire che certe scelte di vita sono conformi alla dignità propria e altrui, e altre no, che certe scelte fanno crescere e sviluppare la società e le relazioni umane, altre no.

Insomma, forse il nostro problema non è giuridico o genericamente sociale.

Tanto per cambiare è un problema educativo.

(le citazioni sono tratte da N. Ferguson, Impero, Mondadori, MI 2009, pp. 232-234, EAN 9788804589471)

QUER PASTICCIACCIO BELLO

Perché se vi hanno detto che Roma è solo il Colosseo e i sampietrini, beh, vi hanno mentito.

Non so perché alla sora Frattaglia sia venuto in mente di coinvolgermi in questa bella follia, giuro. Sono ancora qua che me lo chiedo. Ma posso solo ringraziarla di averlo fatto,
Dieci foto della periferia romana, scattate da chi a Roma ci è nato e ci vive.
Dieci post che dalle foto prendono spunto, scritti da chi a Roma ci va spesso, ci va poco, c’è stato due o tre volte, non c’è stato mai.
Il risultato è Quer Pasticciaccio Bello.
Bello perché è bella l’idea di partenza, perché ci siamo divertiti a parlarne e a scrivere fuffa nelle stanzette di FriendFeed, perché gente che in alcuni casi non si è mai (ancora!) vista in faccia ha lavorato insieme con entusiasmo per creare qualcosa di gratuito, perché Nemo ha avuto genio e un bel po’ di pazienza per preparare questa confezione.
Insomma, un sacco bello.
Guardate e leggete, ne vale la pena.

WAITING FOR THE BURNOUT

F. spesso solleva il banco provocando rumore.
Guardo F., un ragazzino minuto dal viso timido, e gli chiedo cosa mai stesse facendo. Ma niente, prof, risponde, stavo cancellando e il banco sbatteva contro gli altri due banchi. I suoi due compagni confermano. In effetti, una trentina di ragazzi ammassati in quest’aula piuttosto angusta costringono a creare file da tre, e ogni movimento diventa una possibile fonte di disturbo e di rumori molesti. Ma da qui a dare una nota sul registro perché uno cancella, insomma…
Sfoglio il registro. La stessa mano, la stessa firma:
R., nonostante i ripetuti richiami, non ha un comportamento consono al luogo in cui si trova.
Consono. Luogo in cui si trova. Espressioni ellittiche, vaghe. Chissà cos’ha fatto R., chissà qual è stato il comportamento non consono. Vien quasi da chiedersi in quale luogo aulico e austero sia mai accaduto questo delitto indicibile e comunque palesemente non consono.
Passo in un’altra classe. È una quinta. Una mano diversa, una firma diversa.
S. continua a battere i piedi durante la lezione.
E gli dai una nota?! Non basta dirgli di piantarla? Che se glielo hai detto e lui ti ha mandato a cagare, la nota gliela dai perché ti ha mandato a cagare. Se la nota recita Tizio batteva i piedi vuol dire che tu hai ritenuto questo gesto già di per sé meritevole di una nota sul registro.
Quest’aula è esposta su tre lati. Il riscaldamento è insufficiente e abbiamo infiltrazioni d’acqua dal soffitto. Fa freddo, cazzo. Io ci passo dentro un’ora e me ne vado, i ragazzi ci restano cinque ore. Mentre sto seduto alla cattedra, faccio ballare una gamba quasi di continuo. Un po’ perché son nervoso, un po’ perché ho freddo. Ma io sono il prof, a me la nota non la danno mica.
Il fatto è che con quattro di queste note scatta la sospensione.
L’ho già detto tempo fa, lo ripeto: certe note sul registro, più che il comportamento degli studenti, rivelano l’animo e il cervello di chi le commina. Che poi, il minimo che ti possa capitare è che qualche classe di allievi più svegli ti inquadri per bene e cominci a fartela pagare. In modo quasi innocente ma costante, tirandoti scemo.
E così, nella classe successiva trovo una nota, stessa mano e stessa firma di quella del comportamento non consono. Recita:
Qualcuno non identificato interrompe continuamente la lezione con fischi e musica.
Me lo vedo.
Immagino il collega, intento a scrivere alla lavagna o a leggere dal testo, venire più volte interrotto da un fischio o da un iPod tirato per un secondo al massimo volume.
Riesco a vederlo mentre si gira o alza lo sguardo, una prima volta senza dire niente, la seconda dicendo E allora?!, la terza sclerando di brutto, ma senza risultato, il fischio si sente di nuovo, di nuovo la musica ma da una direzione diversa.
Me lo vedo paonazzo minacciare la nota e gridare con la classe.
Non è riuscito a identificare il disturbatore e allora ha provato a sparare nel mucchio, peraltro senza colpire nessuno.
Qualcuno non identificato. Ha dato la nota a qualcuno non identificato.
Un po’ come se uno dicesse Sento delle voci.
Ti vedo bene, collega.

DARSI RAGIONE

Arriva a scuola in ritardo e senza zaino.  Se l’è dimenticato, dice. Libri, quaderni, biro… nulla.
Strabuzzo gli occhi. Lui mi guarda, risentito del mio sbalordimento: Oh, prof, se me lo son dimenticato, me lo son dimenticato.
Non fa una grinza.
Alla fine dell’ora passo nella classe vicina.
Non sono ancora entrato che mi sento chiamare alle spalle: Prof!
Mi volto, è lui.
Mi porge i miei due registri: Tenga, prof. Vede com’è facile dimenticarsi la roba?
Sorride ironico, gira sui tacchi e se ne va.
L’importante è darsi ragione.