AD LIBITUM

In apparenza Amedeo Balbi mette giù le cose in maniera diversa, ma mi pare che le osservazioni e le domande che Keplero formula all’inizio del suo post (e i cui sviluppi sono rintracciabili anche su FriendFeed) potrebbero essere riformulate e condensate nel seguente modo:

Le leggi di natura determinano l’evoluzione di un universo all’interno del quale a un certo punto emergono degli esseri che prendono coscienza dell’esistenza di leggi di natura che determinano l’evoluzione di un universo all’interno del quale a un certo punto emergono degli esseri che prendono coscienza dell’esistenza di leggi di natura che determinano l’evoluzione di un universo all’interno del quale a un certo punto emergono degli esseri che prendono coscienza dell’esistenza di leggi di natura che determinano l’evoluzione di un universo all’interno del quale a un certo punto emergono degli esseri che… (ad libitum)

C’è qualcosa di strano in questo processo all’infinito. Non sta tanto nel fatto che, all’interno di questa sintetica illustrazione del determinismo fisico, ad un certo punto emergerebbe la figura di un soggetto intelligente che prende coscienza dell’esistenza di leggi che ne determinerebbero azioni e decisioni libere solo in apparenza, e che prendendo coscienza retrofletterebbe sulle leggi di natura lo stesso determinismo che le leggi di natura eserciterebbero nei suoi confronti (il che è già un bel problema, non fosse altro che per il dover render ragione di tutte le parole ed espressioni in corsivo cogliendone la genesi, ossia la natura delle pratiche che ne hanno reso possibile il venire al mondo).
No, quel che non torna, da subito, è che l’espressione leggi di natura viene usata in due sensi e due significati differenti. In apertura di frase starebbe ad indicare un dato oggettivo, le leggi di natura in sé e per sé, realmente esistenti. Nel prosieguo della frase starebbe invece ad indicare l’oggetto della presa di coscienza dei soggetti intelligenti, che quindi in qualche modo inventerebbero il concetto di leggi di natura utilizzandolo per spiegare il mondo così come si presenta; e questa sarebbe la conoscenza scientifica di cui le leggi di natura sarebbero l’oggetto.
L’insensatezza della visione deterministica dell’universo (insensatezza che, si badi, coinvolge in altri modi anche la visione opposta di un universo liberamente regolato da una volontà, umana o divina e provvidente, poco importa) sta tutta qui: nello scambiare una pratica di conoscenza per una realtà sostanziale, retroflettendo tale pretesa realtà nel ruolo dell’origine e pretendendo in aggiunta di spiegare a partire da essa la pratica di conoscenza da cui essa stessa trae origine.
Il che, per la verità, è proprio il destino della conoscenza scientifica del mondo nel momento in cui si allontana dalle proprie pratiche cedendo alla pretesa di spiegare la verità del mondo in assoluto, per tutti e per ciascuno.
Ossia quando pretende, senza saperlo, di farsi metafisica. O storicismo, che poi è la stessa roba.