Se ho sentito la tua mancanza, mi chiedi?
Eh. Vediamo se riesco a farti capire.
Sì, certo che mi sei mancata. Mi sei mancata tutti i giorni per tutto il giorno, ora per ora. Anche in quelle ore che di solito non trascorriamo insieme, tu al lavoro, io al lavoro. Ma mi dava come una fitta di malinconia sapere che eri comunque lontana, più lontana di quanto la nostra normale geografia del quotidiano di solito ci imponga.
Mi sei mancata a casa, nei lavori di casa, nel mio darmi d’attorno sapendo bene che avrei fatto le cose come non devono esser fatte, e che le avrei fatte come a te non vanno bene, e che tu le avresti fatte meglio.
Mi sei mancata la notte. E qui, va beh.
Ma dove mi sei mancata di più è in un posto che non mi aspettavo e che mi ha sorpreso come un tradimento.
Perché, vedi, coi miei figli io ci sto bene.
Ormai son grandi. Uno sta dietro alla tesi, l’altro ha la scuola, i compiti, lo studio e il pianoforte. La loro camera è un campo di battaglia, ma me ne frego: chiudo la porta e li lascio annegare nel loro marasma.
Insomma, insieme non ci diamo noia. Io ho le mie cose, loro le loro, e conviviamo insieme come un terzetto di collegiali in convitto.
Parlare si parla, soprattutto a tavola. Una battuta, un commento, una domanda. Due cose sulla giornata a scuola, due cose sulla partita, due cose sul programma del pomeriggio o su quello del giorno dopo. E poi via, io a sparecchiare, loro a riprendere le attività consuete, lo studio, o la tv, o il fancazzismo estremo.
Ed è proprio qui che mi manchi.
Mi manchi da fare male, perché il tessuto delle nostre giornate è come se fosse disconnesso. Io e quegli altri due stiamo insieme come le pezze di un patchwork, ora bene accostati, ora facciamo a cazzotti, vicini ma sempre separati. Non so perché, non so come mai. Ma so, vedo che è così. Sarà l’essere tre maschi, sarà quel po’ di Dna da orso che gli ho trasmesso, ma quando stiamo insieme non siamo insieme, non so se mi capisci. È come se fosse sempre una convivenza provvisoria (e so che in un certo senso è davvero così, niente è più provvisorio di un figlio che ti vive insieme). Però la sensazione non è bella. Dà una sottile angoscia, come di un desiderio di qualcos’altro che sai che non sarà mai e che stai già perdendo.
Ma quando ci sei tu, io questo non lo sento. Perché ci sei tu, col tuo modo di starci.
Perché sei tu che ci cuci insieme. Il tuo darti d’attorno, il tuo continuo fare, il tuo continuo chiedere, raccontare, le tue preoccupazioni, il tuo arrabbiarti, il tuo farci vedere, quel tuo ostinato voler sapere e voler conoscere tutto di loro, non mi sono mai reso davvero conto di quanto siano importanti, di quanto siano essenziali.
Sei come la navetta che tesse trama e ordito. Sei tu che ci tessi. Sei tu che ci tieni insieme e che fai di quattro persone una famiglia.
Mi sei mancata come può mancare qualcosa che ti è essenziale, qualcosa che ti fa quel che sei.
Senza di te non siamo noi.
(Bello!)
Che meravigliosa e tenera dichiarazione d’amore 🙂
(Ma no, ma grazie, ma arrossisco)
Quanto amore. Bello!
grande. senza parole.
Bellissimo post
Ecco.
Sono questi i momenti in cui mi chiedo perché a me è capitato un ing. e alla Cri un filosofo/poeta.
Bel post, da lacrimuccia.
bellissima dichiarazione. rimango comunque più colpita da quei tre “vicini ma sempre separati”. forza!
@Tata, anche gli ing hanno il cuore tenero 😉
Viva.