Il giorno in cui decisi di laurearmi, me lo ricordo come fosse oggi.
I miei avevano un’azienda agricola nelle campagne ciociare, vicino a Frosinone. Due miei fratelli stanno ancora lì, hanno le vacche, fanno il formaggio.
Io invece, a diciott’anni, finito il liceo, dissi a mio padre, “A pa’, io voglio andare avanti a studiare, vado all’università.” E sono salito su a Piacenza, alla Cattolica, facoltà di agraria. Con la mia valigia me ne sono venuto e stavo al collegio sant’Isidoro.
Tempo due mesi e m’ero già rotto i coglioni. I corsi, lo studio, il collegio, il non trovarsi bene con i compagni, non so. Al momento di andare a casa per le vacanze di Natale ho svuotato il mio armadietto, ho rifatto la valigia, sono tornato giù e ho detto a mio padre, “A pa’, sono tornato, e non torno più su. Mi fermo qua e lavoro con te.” Lui mi ha guardato, ha fatto sì con la testa e mi ha detto “Bene, stai tranquillo, non ci pensare, qui il lavoro non manca.”
E così tornai a lavorare nelle stalle, a portare via il latte, a stare attento alla pulizia, a curare la distribuzione del foraggio. Lo facevo bene, e mi piaceva. Ero contento.
Andò avanti così una settimana, e passò il capodanno.
Due giorni dopo, era di sera, e mi ricordo che faceva un freddo cane. C’era un vento che tagliava la faccia e minacciava neve.
Mio padre mi chiamò da parte e mi disse “C’è un problema. Io e la mamma dobbiamo andare dallo zio Gino che nun sta bene, gliel’abbiamo promesso, ma vedi che c’è, è successo qualcosa, s’è rotta una cinghia, nun so, e nun funziona più il raschiatore. C’è da portare fuori tutto il liquame a mano, con pala e carriola. E allora ce devi penza’ tu. Te la senti?” E io, che dovevo di’? “Va bene papà, ci penso io.”
Me lo ricordo come fosse oggi. Una carriola di merda e di piscio dopo l’altra, che dovevo portare, guarda, come da qua a là in fondo, che quando uscivo dalla stalla il vento mi tagliava la faccia da un lato, e quando tornavo me la tagliava dall’altro. Il freddo, la puzza, la fatica e lo schifo. Tre ore c’ho messo, che quando è tornato mio padre “Bravo,” m’ha detto, “ora ci penso io, vatti a fare una doccia”, io sono andato e, tempo di finire, mio padre mi fa “Oh, era una stronzata, il nastro è a posto, ora funziona benissimo.“
Il giorno dopo, a tavola, “Papà,” gli ho detto, “sai che c’è? Ci ho ripensato, torno a Piacenza e mi metto a studiare. Sul serio, mi laureo.”
Lui non ha detto niente, ha guardato di sguincio mia madre e ha abbozzato un mezzo sorriso. Poi mi ha versato da bere.
Che io non gliel’ho mai chiesto, e adesso è tardi, e lui è da mo che è morto, ma in testa mia sono sicuro che quel nastro trasportatore l’ha rotto lui.
Eh, certe volte non c’è mica bisogno di fare tanti discorsi per far capire le cose! 😀
(già, penso anch’io che nei testi di pedagogia la funzione educativa del badile sia ampiamente sottovalutata)
Emilio di Rousseau 🙂